12 giugno 2008
Nella
Chiesa della Comunità Camilliana di “Villa Sacra Famiglia in Monte Mario”,
Roma, dove il giovane studente camilliano concluse la sua
breve vita, è stata Celebrata l’Eucaristia presieduta dal Rev.mo P. Renato
Salvatore, Superiore Generale dei Religiosi Camilliani.
Organizzata dal Postulatore Generale dell’Ordine
Camilliano, il P. Luigi Secchi, erano presenti il fratello Tommaso, Confratelli
della Provincia Romana, il Vice Sindaco di Villamagna
Claudio De Luca e Signora, il P.I. Carlo Tracanna già Sindaco di Bucchianico,
con gli amici Marusco e Sulpizio, e altri Estimatori
del nostro “Servo di Dio”.
Particolarmente
significativa è la costante presenza in questa annuale
“Memoria” di Don Luigi Storto, che in quel 12 giugno 1964 era ancora un giovane
laico studente, e si affidava alle preghiere di Nicolino per definire la scelta
della sua vita. Da anni è uno stimato Parroco di una delle più attive
Parrocchie romane, e degnamente porta il titolo di “Cappellano di Sua Santità”,
cioè è “Monsignore”.
Ma
soprattutto hanno partecipato pregando un folto gruppo di Ospiti
della collegata “Casa di Cura”, una volta “Seminario Romano Camilliano" che vide
il nostro NICOLINO impegnare i suoi verdi anni tutti per il Signore Suo
Crocifisso, affidandosi totalmente alla materna protezione della Sua Immacolata
Madre.
E’ utile spendere qualche parola per il quadro del “Servo
di Dio”, posto a lato fuori del “Presbiterio”. E’ opera del cappuccino Fr.
Vincenzo Acquisto,
che lo ha raffigurato con gli elementi della fede: il giglio, tra le mani,
quale segno di fedeltà alla vocazione; la corona del rosario, come via di
purificazione; lo Spirito Santo, invocato spesso da Nicolino, quale amico da cui lasciarsi plasmare; la corona di
spine, che circonda la testa del Servo di Dio, da lui immaginato “nella singolare
e generosa partecipazione ai patimenti di Cristo Gesù Crocefisso, Signore e
Salvatore Nostro”, la sua sofferenza unita a quella di Cristo, che è
divenuta ormai gloria nei Cieli e salvezza per le anime, simboleggiata nella
Croce luminosa posta sullo sfondo.
I
giovani Seminaristi Camilliani hanno guidato
Al
termine i presenti si sono recati in visita del luogo dove il
“Servo di Dio” concluse il suo cammino terreno. Ed
ecco l’Omelia dettata dal P. Renato Salvatore:
L’amore: compimento della legge
Ancora una volta, siamo riuniti per celebrare l’eucaristia a motivo del nostro confratello il servo di Dio Nicola
D’Onofrio. E lo facciamo mentre la sua causa di
beatificazione avanza a grandi passi sia nel dicastero vaticano che, e soprattutto, nel cuore di
un numero sempre maggiore di persone beneficamente colpite dalla sua giovane
vita donata al Signore.
Il brano del vangelo che abbiamo appena ascoltato ci pone
al centro del messaggio di Gesù sul quale pendeva continuamente l’accusa dei
farisei di esporre un insegnamento contrario alla legge. In verità, in molte occasioni Gesù mostra o propone un comportamento a
dir poco “inconsueto”, fuori dalla tradizione dei
padri. Ciononostante, lui dichiarò con decisione: "Non pensate che sono
venuto ad abolire la Legge ed i Profeti. Non sono venuto ad abolire, ma a
completare (Mt 5, 17). Dinanzi alla Legge di
Mosè, Gesù ha un atteggiamento di rottura e di continuità. Rompe con le
interpretazioni legate alla lettera non rispettose della persona umana, ma
riafferma in modo categorico l'obiettivo ultimo della legge: raggiungere la
giustizia maggiore, che è l'Amore.
L'ideale religioso dei giudei dell'epoca era "essere giusti davanti a
Dio" e ciò si verificava soltanto quando si
osservavano tutte le norme della legge in tutti i suoi dettagli!". In
verità, era molto difficile che una persona anche molto pia potesse osservare
tutte le norme. Per questo, Matteo raccoglie alcune parole di Gesù sulla
giustizia mostrando che l'amore è il completamento della legge e il superamento
della giustizia dei farisei. L'evangelista indica alle comunità come devono
praticare questo tipo di
giustizia più grande. Poi cita cinque esempi ben concreti di come praticare la
Legge, in modo che la sua osservanza porti alla pratica perfetta dell'amore.
Nel primo esempio del vangelo di oggi, Gesù rivela ciò
che Dio intendeva nel consegnare a Mosè il quinto comandamento: "Non
uccidere!".
Per il vero figlio del Padre celeste, non è sufficiente il non eliminare
gli altri fisicamente, ossia il non uccidere; lui è chiamato ad una “giustizia”
molto più grande: amare tutti, anche il nemico e il persecutore! Gesù dà un esempio estremo: se stai per portare la tua offerta
all’altare e ti ricordi che non tu hai qualcosa contro un altro, ma che un
altro ha qualcosa contro di te: fermati, non andare avanti, non accostarti
all’altare poiché devi prima riconciliarti con quel tuo fratello. Non
fare nemmeno un altro passo verso l’altare; fai invece il primo passo verso chi
non è in piena comunione con te; tenta in tutti i modi la
riconciliazione. L'amore ha un valore così alto da poter richiedere anche
l'interruzione dell'atto supremo di culto: per noi, la celebrazione
eucaristica. La "misericordia" vale più del
"sacrificio"; il culto, in quanto relazione con Dio, non può
prescindere da un rapporto d'amore con il prossimo.
Questa richiesta di Gesù ci ricorda quella
presente nella preghiera del Padre nostro: “rimetti a noi i nostri debiti come
noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Non potremo mai ottenere il perdono dei
nostri peccati e quindi divenire “giusti” agli occhi di Dio se non siamo
disposti a perdonare di cuore chi ci ha fatto del male. Per poter essere
accettati da Dio, ed essere uniti a Lui, dobbiamo cercare la riconciliazione
con il nostro prossimo.
L’evangelista Matteo insiste molto sulla riconciliazione, poiché nelle comunità
di quell'epoca c'erano molte tensioni tra i gruppi
con tendenze diverse, e il dialogo spesso risultava
difficile. Ad essere sinceri, anche oggi le nostre
comunità e le nostre famiglie o i luoghi di lavoro non sono privi di tensioni,
di conflitti o di peggio. Opportunamente, all’inizio di ogni
celebrazione eucaristica siamo invitati a riconoscere i nostri peccati e a riconciliarci
con tutti.
Se ci sottoponiamo con onestà a questo esame di
coscienza, forse il nostro procedere verso l’altare diventerebbe incerto,
vacillante, bisognoso di tutta la misericordia del Signore. E così, con
pentimento chiediamo perdono al Signore e ci disponiamo a perdonare chi ha commesso del male
contro di noi. Ma non basta! All’inizio di ogni santa messa, siamo chiamati a domandarci: chi è che
non è in piena comunione con me? C’è qualcuno che ha qualcosa contro di me? Cosa potrei o dovrei fare verso di lui?
L’esperienza nostra e altrui sottolinea con vigore
la difficoltà a perdonare, soprattutto per certi tipi di ferite o se ne sono
causa determinate persone. Si resta quasi paralizzati, impossibilitati a fare
anche un solo passo in avanti. Ci rendiamo conto che non è sufficiente la
nostra buona volontà! È una giusta constatazione: infatti, occorre implorare
nella preghiera l’aiuto dello Spirito santo perché
operi sul nostro cuore, sulla nostra intelligenza e sulla nostra volontà.
La disponibilità al perdono dal profondo del cuore
richiede una grande intimità con il Signore. Potremmo dire: un certo cammino
verso la santità! Sì, non dobbiamo temere questo termine “santità”,
specialmente oggi che ricordiamo Nicola D’Onofrio, un giovane religioso che ha
fatto della santità una meta centrale della sua esistenza. Tutti, ognuno per la
sua via, siamo chiamati dal Signore a quella
perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste.
Sappiamo che, al di là di tutti i nostri sforzi,
all’origine della nostra giustificazione c’è la grazia, il dono dello Spirito. Ed è sempre lo Spirito che ci santifica, ci rende nuove
creature, figli adottivi di Dio, partecipi della natura divina. Abbiamo
ottenuto la giustificazione nel battesimo gratuitamente, per i meriti della
passione di Cristo. Ci ricorda S. Paolo: “Ora, liberati dal peccato e fatti
servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come
destino avete la vita eterna” (Rm 6, 22). Ma non dobbiamo dimenticare che “la libera iniziativa di Dio
richiede la libera risposta dell’uomo… L’anima può entrare solo liberamente
nella comunione dell’amore” (CCC 2002).
La breve ma intensa vita di Nicola ci ricorda che non c’è santità senza rinuncia e senza combattimento spirituale.
Chi mi ama prenda la sua croce e segua me che sono mite e umile di cuore poiché
il mio giogo è soave e il mio carico leggero, anzi è
fonte di gioia piena, di pace interiore, di fiducia nel futuro.
Il servo di Dio, Nicola D’Onofrio, ben conosce questa casa e questa chiesa. In questo momento ci vede e ci ascolta
dall’alto del cielo. Con fiducia nella sua intercessione, apriamo il nostro
cuore e chiediamogli che anche la nostra vita dia gloria a Dio e raggiunga la
pienezza della santità.
Servizio Fotografico dello Studente Camilliano BORIS