I
primi anni
Nicola
D'Onofrio nacque a Villamagna, Diocesi di Chieti - Abruzzo - il 24 marzo
1943. Nella Chiesa Parrocchiale di S. Maria Maggiore fu battezzato il 27
marzo successivo, ricevendo il nome di Nicola. Suo padre si chiamava Giovanni.
Uomo moralmente integro, lavoratore tenace dei campi, pieno di sapienza
popolare e contadina delle antiche famiglie abruzzesi. Religioso e pio
e austero, come sono comunemente gli uomini di questa regione italiana.
La madre- Virginia
Ferrara - era una donna forte e delicata, eletta per pietà e spirito
cristiano. Seppe trasferire nel figlio il culto della religiosità
della vita, delicatezza e una notevole gentilezza e serenità di
spirito.
Il Sacramento della Cresima lo ebbe il 17 ottobre 1953. Mentre tre anni prima - il giorno della festa del Corpus Domini 8 giugno 1950 - la Prima Comunione. Frequentò le scuole elementari di Villamagna in frazione Madonna del Carmine, distinguendosi per la diligenza, bontà e disponibilità verso gli altri, così attestano la Maestra e i coetanei. Non trascurò il servizio all'Altare della chiesa parrocchiale, che raggiungeva anche in pieno inverno, benché la sua casa fosse a diversi chilometri, posta sul confine con la vicina Bucchianico, terra natale di S. Camillo de Lellis.
In
Seminario a Roma
Un
Sacerdote dell'Ordine di S. Camillo, il P. Santino suo concittadino, gli
rivolse l'invito di entrare nel seminario camilliano di Roma. Il D'Onofrio
lo accolse con gioia e subito manifestò ai genitori la sua decisione.
Questi si opposero. La madre perché lo voleva nel seminario diocesano
della vicina Chieti. Il papà perché vedeva sottrarsi delle
promettenti forti braccia per i campi, essendo Nicola il primo dei due
figli - l'altro, Tommaso, era più piccolo - già impegnato
in utili servizi della casa e dei campi adatti alla sua età. Anche
due zie nubili, sorelle del papà, che vivevano con la famiglia,
lo blandivano dicendo di farlo loro unico erede se rimaneva. Tutta la vita
di Nicolino fu di una semplicità genuina.
L'opposizione della famiglia durò un anno. Tempo che Nicolino visse in preghiera e studio, e finalmente ottenne il permesso di entrare nello Studentato Camilliano di Roma. Era il 3 ottobre 1955 quando entrò, festa di S. Teresa del Bambin Gesù, che diventerà poi la sua Guida spirituale. Nell'affollato seminario, come ancora erano a quei tempi questi centri di selezione per il Sacerdozio, il giovanissimo Nicola non sfuggì all'osservazione di chi doveva cogliere i segni orientativi di una vocazione certa. Fu subito notata una serietà di intenzione a lavorare su tutto se stesso affidandosi completamente ai Superiori nella direzione dello spirito. Due anni dopo venne a conoscenza che il papà voleva riprenderlo e riportarlo a casa. Scrisse allora una forte lettera comunicando la sua decisa volontà di continuare per il Sacerdozio nell'Ordine Camilliano, costasse qualsiasi sacrificio. Molte le motivazioni portate a sostegno della sua decisione, tra le tante il detto di S. Giovanni Bosco: “La più bella benedizione per una famiglia è quella di avere un figlio Sacerdote”.[1]
Novizio
Il
6 ottobre 1960 indossò l'Abito dei religiosi di S. Camillo, iniziando
così l'anno di noviziato. Al termine del corso di esercizi spirituali,
per questa tappa molto importante della sua vita, scrisse:
“...Gesù
se un giorno dovrò buttare come tanti l'Abito santo, fa' che io
muoia prima di riceverlo per la prima volta; non ho paura di morire ora,
sono in Grazia tua. Che soave cosa poterti venire a vedere insieme alla
Tua e mia mamma: Maria!”.[2]
Tutto l'anno di noviziato lo passò riportando sul“Diario”propositi e piccole conquiste, momenti di lotta e di aridità. Da questo scritto si evidenzia la volontà decisa di continuare per la strada della chiamata divina, affidandosi all'aiuto del Cielo, sintetizzato in questa espressione: “Il demonio si vince stando vicino a Gesù e a Maria coi sacramenti e con la preghiera”.[3] Già da questo momento viveva intensamente il carisma camilliano. In modo singolare brilla in occasione dell'assistenza prestata ad un anziano confratello, il P. Del Greco, gravemente ammalato per un tumore alla gola. Particolarmente da ricordare quanto disse al medesimo sacerdote in occasione del Venerdì Santo di quell'anno: “Padre, unisca i suoi dolori a quelli di Gesù agonizzante... oggi è Venerdì Santo, giorno bello per lei che soffre insieme a Gesù”.[4]
Primi
Voti Religiosi
La mattina del 7 ottobre 1961, festa della Beata Vergine del Rosario, emise per tre anni i Voti di Povertà, Castità, Obbedienza e di Carità verso gli ammalati anche se contagiosi, dopo un intenso anno di preparazione che i Padri Capitolari giudicarono ottimo. Ebbe inizio in quel giorno il periodo di formazione come Religioso Professo camilliano. Sereno e felice, disponibile per tutti, osservante della vita comune, assiduo alle preghiere e diligente negli studi, umilmente e con semplicità, senza assumere atteggiamenti esterni atipici o teatrali.
I suoi superiori immediati - il Provinciale P. Andrea C., e il Maestro dei chierici P. Renato D. - sono le sue guide e i testimoni del suo progredire, lento ma costante, verso la vetta del Monte Santo di Dio. Nutrì un amore ardente per Gesù Eucaristia che riceveva quotidianamente, e visitava spesso durante il giorno nella chiesa del seminario, o dell'Università Gregoriana. Si iscrisse anche alla "Guardia d'Onore al S. Cuore di Gesù", scegliendo dalle 8 alle 9 l'ora di riparazione[5]. Una filiale e tenera devozione per la Vergine Maria senza cadere mai in banali e superficiali sentimentalismi. Una accesa devozione a S. Teresa del Bambino Gesù, facendo propria la spiritualità della piccola via.
Nel
Carisma di San Camillo
Un amore profondo al suo Padre e Fondatore S. Camillo, studiandone a fondo lo spirito e sognando intense giornate di lavoro a servizio dei malati, quando un domani sarebbe diventato sacerdote. Non aveva timore di manifestare a chiunque il suo ardore per la vocazione camilliana. Diligente negli studi si applicava seriamente agli impegni scolastici, nutrendo stima e affetto verso gli insegnanti. Era docile e attento, ansioso di recepire la scienza che gli veniva presentata ritenendola necessaria per svolgere degnamente il suo Sacerdozio a servizio dei fratelli sofferenti.
Nel breve periodo di vita quale studente religioso camilliano, dimostrò grande amore e attaccamento alla sua nuova famiglia, dichiarandosi felice di rimanere nella Casa religiosa non concedendosi facilmente uscite, e dedicando il suo cuore e ingegno e tempo alle varie urgenze e necessità della comunità religiosa.
La
malattia
Sulla fine del 1962 incominciò ad avvertire i primi sintomi del male che lo avrebbe portato alla morte a soli 21 anni. Si assoggettò obbediente alle decisioni dei superiori e dei medici fin dal primo momento. Il 30 luglio del 1963 venne operato presso il reparto di urologia dell'Ospedale S. Camillo di Roma[6]. L'esame istologico della parte asportata dette la inequivocabile risposta d'un finale già segnato per scadenze brevi: teratosarcoma[7].
La
degenza post-operatoria presso la casa dei cappellani dello stesso ospedale,
lo fece rivelare paziente e sempre sorridente, attento a non disturbare
i confratelli premurosi per la sua persona. Successivamente, il 19 agosto,
venne ricoverato presso il Policlinico Umberto I della capitale per la
cobalto terapia nella zona subtoracica, con la segreta speranza del medico
curante - il dottor Mario L. - di circoscrivere il male. Dal 24 dello stesso
mese continuò ambulatoriamente questa terapia presso il medesimo
ospedale.
Il
suo comportamento in questo tempo è di grande esempio a tutti per
la pazienza che ha nel sopportare i dolori, e la disponibilità che
manifesta di fare la volontà di Dio. Qualunque essa sia. Che conoscesse,
o per lo meno sospettasse di avere un male di una certa gravità
fin da questa estate, lo possiamo dedurre da una nota che abbiamo trovato
tra le sue carte, dove scrive: “Fine di giugno: in 2-3 giorni assume
proporzioni smisurate. Cure di Penicillina e Strepto sciolte con vitamine
B e C”, e più avanti -
oltre alle date di ricovero e interventi chirurgici presso i due ospedali
romani - scrive: “...12/8 Inizio di applicazioni con raggi g
e non g (200 al giorno) ...20/8
VII applicazione, 2 lastre ai polmoni, e analisi sangue ...23/8 X applicazione,
22 lastre all'apparato digerente...”
Alla ripresa dell'Anno Accademico in autunno, i Superiori lo iscrissero al I anno di filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana, nonostante fosse ormai già preso profondamente dal cancro[8]. Anche in questo luogo - a professori e condiscepoli - si evidenzia la sua diligenza, serenità e bontà d'animo.
Ai primi di gennaio del 1964 venne eseguita una ulteriore radiografia al torace. Il polmone destro apparve invaso per buona parte dal male[9]. Il D'Onofrio si rese conto definitivamente del suo reale stato di salute, anche se nessuno ancora gli aveva parlato della gravità della sua situazione, anzi tutti concorrevano a nascondere e simulare le condizioni ormai senza alcuna speranza. Lo si deduce da un colloquio che ebbe col fratello Tommaso, nel quale accennava alla certezza di una sua non lontana dipartita da questo mondo, esprimendo solo preoccupazione per il grande dolore che la mamma ne avrebbe patito[10].
Sulla
fine del mese di marzo di quell'anno, chiese un colloquio al superiore
provinciale perché gli dicesse chiaramente quale fosse il suo vero
stato di salute. Messo alle strette il detto superiore non pote' nascondere
la verità, anche se l'accompagnò da grande speranza e soprattutto
da grande fiducia nella bontà e potenza di Dio, che tutto può
operare, anche un grande miracolo come quello di cui lui aveva bisogno.
Conosciuta la realtà non reagì con atti di disperazione, ma dopo un momento di intensa riflessione che passò quasi totalmente dinanzi a Gesù Eucaristia nella chiesa del seminario, riprese il normale sorriso e intensificò la preghiera dando spazi lunghi alla meditazione. In occasione di dialoghi con amici sulla realtà di una morte imminente, non evitava il discorrere né drammatizzava, ma affrontava con serenità e distacco. Coloro che gli stavano vicino ricordano di avere avuto la sensazione di contattare una creatura che già viveva della realtà dell'aldilà come presente già nella sua esistenza, che troppo precocemente si avviava sul viale del tramonto.
Ricordano ancora vivamente che il suo discorrere sull'altra vita era calmo e sereno, senza forzature o fanatismo, e che un grande spirito di fede illuminava la sua esistenza che egli continuava a condurre nella normalità, partecipando alla vita comune del seminario camilliano. Con la segreta speranza di ottenere un grande miracolo, i Superiori lo mandarono pellegrino a Lourdes e a Lisieux. Il D'Onofrio vi andò per obbedienza, soprattutto col motivo di chiedere l'aiuto della Vergine Immacolata, e della sua grande piccola Santa Teresa, a compiere la Volontà di Dio fino alle estreme conseguenze, serenamente unito alla Croce del Cristo. È il 10 maggio: mancano appena 33 giorni al suo incontro con Dio per l'eternità.
Tutto
di Dio
Con
dispensa “super triennium”, Papa Paolo VI di v.m., gli concesse di emettere
i Voti Perpetui. Nella festa del Corpus Domini,
28 maggio, nella chiesa del seminario camilliano romano, si consacrò
a Dio in eterno: ultimo atto d'amore di una vita breve ma intensamente
vissuta “pregando ed amando”. La mattina del 5 giugno, festa del Sacro
Cuore di Gesù, in piena coscienza accetta di ricevere l'Unzione
degli Infermi che gli aveva proposto il superiore provinciale. Momento
di intensa commozione per i numerosi confratelli al termine della S. Messa
celebrata nella camera che lo ospita da qualche mese a piano terra, per
facilitargli gli spostamenti che avvengono ora solo in carrozzina, e riceve
le visite della mamma e dei molti amici.
Gli ultimi giorni della sua vita terrena sono una terribile e drammatica sofferenza continua. Il cancro che avanza e invade totalmente i polmoni, oltre ad atroci dolori genera momenti di soffocamento. Nicolino vive eroicamente la sofferenza unito alla Croce di Cristo, invocando l'aiuto di Maria e dei SS. Camillo e Teresa del B.G., sempre sereno e mai cadendo nella disperazione, attento a non creare disturbo a chi lo assiste, e sforzandosi di nascondere quanto più possibile la inevitabile maschera della sofferenza, per evitare dolore alla mamma che gli è vicina. Anche per chi lo conosce fin da piccolo questo straordinario affidamento alla Volontà di Dio, crea ammirazione e devozione.
Un
fiore nel cuore di Dio
L'ultimo giorno per Nicolino venne col 12 giugno 1964. Una lunga agonia che inizia alle ore 16 per chiudere la sua ultima sera alle 21.15, dopo una giornata passata in preghiera ed espressioni di intensa Fede e ardente Amore per Gesù e Maria, con l'aiuto dei suoi due Santi prediletti, e il conforto della commossa preghiera di confratelli e amici. Il suo superiore ancora oggi ricorda gli ultimi istanti così: “Intonavo le preghiere alle quali tutti i giovani confratelli, raccolti attorno a lui nella sua cameretta, rispondevano con animo pieno di fede. Egli ogni tanto ci invitava dicendo: ancora, ancora... più forte!, ed ogni tanto mescolava alle nostre qualche sua invocazione particolare che rivelava la sua Fede viva nella presenza di qualche cosa ultrasensibile che sentiva vicino”[11].
Questo contatto con l'ultrasensibile fu notato anche da altri che erano presenti al trapasso.Le porte del Cielo gli si aprirono mentre lucido fino all'ultimo istante, ripeteva continuamente l'atto di offerta della propria vita e delle sue sofferenze rifiutando gli analgesici, e incitando i presenti a pregare con lui e per lui. Una coerente conclusione di vita con quanto si era proposto di vivere.L'impressione profonda che si fosse consumata una Passione, lo si può rilevare dalle parole semplici di una donna del popolo, amica di famiglia da sempre: “Il Dottore controllato che era morto, ha aperto la porta e ha chiamato la mamma: Signora ecco tuo figlio!, quasi come se fosse la Madonna alla quale viene consegnato il figlio Crocifisso”[12].
Un confratello legato a Nicolino da profonda amicizia, scriveva nei giorni seguenti alla morte: “Ora quaggiù fra noi non è rimasto che uno stelo reciso, il suo stelo. Il fiore è lassù immerso nel cuore di Dio. È per questo che pensando o parlando di Nicolino mi viene di guardare in alto, trasognato, inchinato. Il mio eroe!Avevo intravisto, sognato l'ideale della Santità, mai l'avevo raggiunto, poiché per toccare una cosa bisogna esservi vicino, e perché l'ammirazione sia senza ombra, bisogna poter imitare l'eroe che l'ispira. Ho toccato il mio eroe, e poi... parve sfuggirmi. Ma come Teresina con Celina, io credo che egli camminerà sempre accanto a chi ha saputo scoprirlo. L'ho amato, mi morì fra le braccia, mi guardò con il suo ultimo sguardo, e mi fece ciao con la mano. Lo amo, ormai è il mio grande piccolo Santo con la sua e mia Teresina”[13].
Nell'attesa
della risurrezione
Al sacro rito funebre una gran folla di confratelli, amici, conoscenti. Le accorate e strazianti preghiere della mamma, indussero i superiori a concedere la tumulazione dei resti mortali di Nicola D'Onofrio in Villamagna, sua terra natale, nella tomba di famiglia. L'ultimo viaggio di ritorno al suo paese avvenne il 15 giugno, accompagnato da superiori e confratelli.
Dopo una solenne celebrazione eucaristica, alla quale partecipò l'intera popolazione, venne tumulato nella Cappella Ferrara, la famiglia della mamma. Dall'8 ottobre 1979, Nicola D'Onofrio riposa nelle adiacenze della Cripta del Santuario S. Camillo in Bucchianico, in vista della sua casa natale, ricongiunto alla famiglia religiosa di appartenenza, nell'attesa della risurrezione nell'ultimo giorno quando ritornerà il Cristo Trionfatore della Morte.
...e viene da lontano!
Il coinvolgimento di quanti lo conoscevano nell'intimo, o solo ebbero modo di accostarlo nella fase a tutti nota della rapida fine, affrontata con serenità e sorriso sulle labbra, stanno a testimoniare che fu un comportamento eccezionale. Ma questo non fu improvvisato, né tantomeno superficiale. La sua ascesa al Monte Santo di Dio viene molto da lontano.
Le paginedei suoi scritti originalici rivelano questo cammino iniziato fin dai primi momenti della sua vita nel seminario camilliano. La fase terminale della sua vita e la morte, sono soltanto il momento rivelatore della sua dimensione spirituale.
Un finale di vita così, non può essere improvvisato. Viene da lontano, e il tempo della morte ne è solo l’occasione della rivelazione del lavoro interiore svolto. Ed egli lo ha costruito fondamentalmente sulla Croce e la Passione del Signore Gesù, con lo sguardo sempre rivolto alla Gloria della Risurrezione. Ne fanno fede i suoi “Scritti”[15] e chi lo ha frequentato.
dai
suoi Scritti
La chiave rivelatrice di lettura del suo cammino, appare quasi subito all’inizio della sua nuova vita nel Seminario minore, quando ascoltando una meditazione sull’amore di Dio Padre per l’Uomo, durante l’annuale corso di Esercizi Spirituali, scrive: “Diremmo che non gli è interessato niente del suo Figlio unigenito pur di salvarci. Gesù è morto per noi e il suo sangue, fino all’ultima stilla, ha lavato la nostra anima. Quanto bene ci ha voluto Gesù!”[16].
E qualche mese più tardi, al termine del Ritiro mensile, così sottolinea la meditazione dettata: “Gesù è venuto in terra per dare gloria al Padre che l’aveva mandato, e per venire quaggiù “exinanivit se” si è esinanito, annientato. L’Incarnazione, la Crocifissione, l’Eucaristia, sono atti di annientamento per nostro amore e gloria del Padre. Col venire sulla terra Gesù ci ha dato l’esempio dell’annientamento; sta a noi ora seguirlo per dare al Cuore Santissimo la Gloria dovuta per controbilanciare il suo amore.”[17]
Così al termine del primo giorno degli esercizi spirituali, scrive: “La volontà deve essere tenace, piena, eroica nell’ascesa. Una volontà che non cambi direzione secondo il vento ma resti fedele ai principi di Cristo crocifisso. Che non si perda in tante fatuità della terra ma si mantenga sempre vivida e forte nel sostenere e nel far progredire la nostra corsa verso Dio. La nostra ascesa inoltre richiede una volontà eroica perché il fine è difficile. Miriamo all’imitazione di un Cristo crocifisso il quale non ci presenta che la Croce da abbracciare quotidianamente. Eroica inoltre, perché la nostra ascesa non è a fasi ma continua e impegnativa, una ascesa che dovrebbe consumarci interamente. Ma per poter giungere a tanto indispensabili sono la Confessione e la Direzione spirituale.”[18]
Non però in questa confessione, registrata immediatamente dopo la precedente: “Sono passate le feste di Pasqua. Quante impressioni! Per me è stata una gioia inestimabile quella di aver potuto seguire, anzi partecipare, così da vicino alle sacre funzioni della settimana santa. Ma io serbo un particolare ricordo degli avvenimenti succedutimi in questi tempi. Sono stato felice di poter assistere il car.mo P. Del Greco nella notte tra il mercoledì e giovedì santo. Per questa notte fu fatta l’adorazione a Gesù dalle undici a mezzanotte qui in casa. Io invece l’ho fatta vicino a Gesù sofferente nella persona del Padre. (L’ho fatta proprio con questa intenzione). Ora sembra che stia meglio, speriamo!”[19]
Il Sacerdote camilliano assistito, operato per un tumore alla gola, completò in seguito quanto il D’Onofrio non scrisse nei suoi “Appunti Spirituali”: “Ero quasi moribondo e il chierico D’Onofrio mi assisteva e confortava dicendomi:“Padre, unisca i suoi dolori a quelli di Gesù agonizzante. Oggi è Venerdì Santo, giorno bello per lei, che soffre insieme a Gesù!” Non ho mai dimenticato quelle parole che il nostro Chierico mi suggeriva con tanta amabilità e fede.”[20]
Ne riportiamo un passo: “Sono stanco, direi sfiduciato quasi... La vita di noviziato mi pesa... Perché? E’ il nemico mortale dell’anima mia che strapazza, è il Signore che mi purifica. Quando finirà questo luogo di esilio?... “Ahi dura terra...” Voglio morire presto, se a Dio piace, per volare tra le braccia della mia Mamma. Voglio andare a riposarmi in Paradiso. Sì... Mammina dolce... Ecco che pian piano il sereno torna nel mio animo e posso mirare più lontano... E’ questa la volontà di Dio. “Tota vita Christi crux fuit et martyrium...” ed io che voglio? Fare il signore. No, no, no. Ma tutto per voi Gesù, Maria!”[21]
Scritta di suo pugno abbiamo
una “Preghiera” che deve essere
di un’anima mistica. Non siamo certi che sia la Santa di Lisieux. Ne riportiamo
un breve passo perché illumina il nostro assunto ampiamente: “…Datemi
lo strazio, datemi il martirio d’amore solo e sempre quel che piace più
a voi, solo e sempre quel che piace di più a voi per possedervi
sempre perdutamente. …Io sono innamorata di Cristo Crocifisso. Si allontani
da me ogni altra gioia, ogni altro gusto che non sia quello per il mio
Diletto Sposo Crocifisso. Voglio possedere interamente perdutamente il
tuo Cuore squarciato, esservi in Esso come incarnato
in una unica realtà: Rinunziarmi completamente perché completamente,
io sia Te, Amore. Rinunziarmi sempre, anche nel modo più duro, non
più io, ma Tu, Tu Amore Crocifisso”[23].
In calce Nicolino annotò: “Preghiera che dirò almeno tre volte al giorno; possibilmente al mattino, a mezzogiorno e la sera prima di andare a letto”.
Di S. Teresa aveva raccolto quanto era stato edito, richiedendo direttamente al Monastero di Lisieux le ultime pubblicazioni. Aveva un’ottima conoscenza della lingua francese, e si applicò a tradurre le sue Poesie. A completamento di quanto brevemente ci è consentito di scrivere, riportiamo due strofe di “Vivere per Amore”, che ci rivelano la sua tensione a conformarsi al suo amato Cristo Crocifisso:
“…Vivere d’amore, su questa terra non significa / piantare le tende sulla vetta del Tabor. / Significa arrampicarsi con Gesù sul Calvario. /Significa vedere la croce come un tesoro! /In cielo, vivrò di gioia. / La prova allora sarà sparita per sempre, / quaggiù però, voglio nella sofferenza / viver d’amore! — …Morire d’amore, è un troppo dolce martirio, / ed è questo che vorrei soffrire. / Cherubini! accendete le lire, / perché, lo sento, sta per finire il mio esilio... / Dardo infuocato, consumami senza tregua, / squarciami il cuore in questo triste soggiorno. / Gesù divino, realizza il mio sogno: / morire d’amore!…”[24].
E questo è il segreto della grande emozione, stima ed entusiasmo che suscitò il suo drammatico ultimo anno di vita e il suo passaggio al Cielo. Si avvertiva ampiamente la dimensione spirituale nella quale era immerso, e che il seguente passo dell’ultima lettera scritta ai genitori fedelmente sintetizza: “Io sono molto contento di poter soffrire un pochino adesso che sono giovane, perché questi sono gli anni più belli per offrire (qualcosa) al Signore. Santa Teresina è la santa che mi piace di più perché mi rassomiglia molto. Anche Lei si ammalò quando aveva poco più di venti anni, soffrì molto e a ventiquattro anni morì… Genitori carissimi, pregate anche voi affinché il Signore mi faccia rimettere in forze, così potrò diventare Sacerdote e lavorare ancora molto per le anime. Se il buon Dio però, volesse qualcosa di differente da me e da voi, sia benedetto il Signore perché Lui sa quello che fa e quello che va meglio per noi. E’ inutile, noi non possiamo sapere queste cose, Dio solamente lo sa…”[25]
Nel ricordo di alcuni Testimoni
Chi seppe leggere i segni che vennero dal suo comportamento dinanzi alla suprema prova della vita, ne recepì il Messaggio. Le manifestazioni di stima che vennero espresse nel momento della sua morte e, come già si è detto, si concretizzarono in una straordinaria ondata di emozione affettiva e religiosa, travalicarono l’ambito della Comunità camilliana e il tempo.
Non con le nostre parole, ma con una breve selezione di quello che i Testimoni hanno scritto per la Postulazione Generale dell’Ordine Camilliano, esporremo la conferma di quanto Nicolino ci ha lasciato scritto.
“Nei mesi successivi il suo male si evidenziò con sempre maggiore crudeltà e Nicolino soffriva visibilmente, ma con grandissima dignità Pregava molto per i peccatori e sentiva la Passione di Gesù e le sofferenze di S. Teresina come modelli da imitare, quasi alla lettera…Nella sua malattia seppe come Gesù affrontare le tappe di un lungo Calvario andando gioiosamente incontro al Padre nel Regno promesso ai servi buoni e fedeli.
“Assistevo quella notte
D’Onofrio, e mi destarono, sul far del giorno le sue grida affannose. Mi
precipitai nella stanzetta; egli, appoggiato sui gomiti, per quanto le
forze glielo permettevano, chiedeva a viva voce a Dio, di guarire: “sarò
un Sacerdote... salverò tante anime... guariscimi Signore ti prego...
Madonna mia intercedi... San Camillo....! Padre mi aiuti... su preghiamo
insieme che devo ottenerlo questo miracolo... devo guarire!...” Lo tirai
su e l’aiutai fino a che di lì a poco s’acquietò stremato.
Poi, in tono più calmo, e pieno di rassegnato abbandono disse: “Bene...
però se non è possibile... sia come tu vuoi Dio mio!” Questo
è il senso delle sue parole anche se, chissà, non le ricordo
bene alla lettera. M’impressionò quel rimettersi a Dio, quell’accettazione
ultima, tanto che non potei fare a meno di paragonarla a quella di Cristo
in Croce che chiede supplicante e finisce nella splendida sottomissione
alla Volontà del Padre.
Quasi subito i Professori competenti decisero di intervenire chirurgicamente. Mansueto ed ubbidiente, come sempre, accettò con spirito di profonda unione al Cristo sofferente, sull’esempio di S. Teresina affetta dall’ultimo male, accettò di sottoporsi a tanto delicato intervento… Ma tutto accettò senza reagire lasciandosi così docilmente e progressivamente stendere e inchiodare sulla sua Croce… Passò il periodo pasquale con particolare, intenso raccoglimento nella meditazione della Passione del Signore impegnandosi maggiormente ad uniformarsi. Infatti non aveva più dubbi sul suo male, lo sentiva ogni giorno più forte, espandersi nelle sue membra. Avvertiva già molto più la fatica anche delle piccole cose, poiché respirava con crescente difficoltà. Dimagriva di giorno in giorno per quanto non si lasciava intentato nessun mezzo e cura per sostenerlo e ristimolare un poco l’appetito.”
“Ma piacque a Gesù, Sacerdote Eterno, abbreviargli il tempo dell’attesa portandolo presto sulla vetta del Calvario dove il nostro Nicolino, facendosi olocausto per tutti, si offrì eroicamente a Dio quale vittima d’amore sull’esempio di Santa Teresa del Bambino Gesù che lo volle ospite a Lisieux, in Francia poco prima che passasse dalla terra nel regno dei beati attraverso la porta stretta indicata dal Vangelo per i pochi eletti.”
“Lo rividi sul letto di morte. Rimasi impressionato dal suo viso. Viso scarno, serio, asciutto di ogni traccia di luce. Il suo passaggio sarà stato davvero martiriale. La sua ora immersa nelle tenebre. Aveva, Nicolino, gustato l’amarezza del Calice di Gesù. E ne portava nel viso l’impronta della smorfia davanti all’amaro. Penso, ora, alla fisionomia del Servo Sofferente di Isaia: “Non ha apparenza né bellezza / per attirare i nostri sguardi / né splendore per provare in lui diletto” (Is. 54, 2). Così, come Gesù, anche Nicolino “fu eliminato dalla terra dei viventi” (Is. 54, 8)”
E chiudiamo con le espressioni di una amica della mamma, da anni trasferita in Roma, che seguì e assistette il giovane studente camilliano in tutto il suo cammino di sofferenze. Animo semplice, così riviveva quei momenti a molti anni di distanza: “Mi sembrava Gesù Cristo in Croce, sereno e fiducioso, con la preghiera sulla bocca, chiamando la Madonna “Mamma”. Poi ha piegato la testa sulla sinistra, la lingua si è leggermente mossa, e senza fare altri movimenti, così serenamente è morto. Il Dottore ha controllato l’avvenimento, ha aperto la porta e ha chiamato la mamma: “signora ecco tuo figlio”, quasi come se fosse la Madonna alla quale viene consegnato il figlio Crocifisso. La mamma si è buttata sul figlio, e poi si è messa in ginocchio piangendo forte forte…”
Quando Dio lo invitò a vivere come S. Paolo il “Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24), Nicola D’Onofrio non si è tirato indietro.
Strettamente
unito alla Madre di Dio, ha vissuto coerentemente quel “Tota vita Christi
crux fuit et martyrium”, vergato in
una quiete notte del Noviziato, aderendovi fortemente con “Tutto
per voi Gesù, Maria”.
La “maternità nuova” - che la Vergine Maria ricevette dal Figlio morente sulla Croce - “spirituale e universale verso tutti gli uomini, affinché ognuno, nella peregrinazione della fede, gli rimanesse insieme con Lei strettamente unito fino alla Croce e, con la forza di questa Croce, ogni sofferenza rigenerata diventasse, da debolezza dell’uomo, potenza di Dio”[28], in Nicola D’Onofrio si realizzò pienamente, e ne rimane nel tempo uno splendido modello.
Il giovane studente camilliano, passando attraverso il mistero della sofferenza umana elevata dal Cristo a livello di redenzione[29], con gioia e serenità, fu e rimane un testimone credibile che la scelta fatta di vivere i Consigli Evangelici manifesta “i beni celesti già presenti in questo mondo, meglio testimonia la vita nuova ed eterna acquistata dalla Redenzione di Cristo, e meglio preannunzia la futura resurrezione e la gloria del Regno Celeste”[30].
I giovani che si accostano alla sua breve esperienza terrena ne rimangono affascinati. Per tutti ricordiamo Marie-Louise, che volendo seguire l’invito di Giovanni Paolo II lanciato a Compostela di “N’ayez pas peur de devenir saints!”, ci ha scritto di aver deciso di prendere “Nicolas D’Onofrio come modello di vita… cercavo un modello di vita contemporanea e ho trovato nella vita di questo giovane i disegni che ho scelto di seguire poco tempo fa”[31]. Da anni ormai, Marie-Louise è tutta dedita in una delle nuove istituzioni di vita consacrata nel mondo, a servizio di Dio tramite il servizio ai fratelli e sorelle malati e poveri.
camilliano
Religiosi Camilliani
Martiri della Carità
San Camillo ha ricevuto da Dio il carisma di testimoniare al mondo l'amore sempre presente di Cristo per gli ammalati e i sofferenti. Ai tre Voti comuni a tutte le Congregazioni Religiose di "Povertà - Castità - Obbedienza", volle il quarto di essere sempre presente "etiam pestis incesserit", oggi tradotto in "sempre, anche con rischio della vita".
I Religiosi Camilliani Martiri della Carità in questi primi quattro secoli di vita sono circa 300, ed di essi si hanno i Nomi di soli 252. Molti sono stati quelli che hanno sacrificato la propria vita e sono Anonimiper la drammaticità dei momenti in cui avvennero i fatti, che certamente non davano spazio a resoconto giornalistico.
Nel 1589, a qualche anno dall'inizio della Fondazione, a Pozzuoli si ha il primo sacrificio in occasione di assistenza ad una flotta di "molte Galere piene di fanterie Spagnuola", colpita da tifo petecchiale detto anche "castrense". Tre i Religiosi che San Camillo "subito offerì l'anime loro à Sua Divina Maestà come primitie di tutti gli altri che per l'avvenire con questo nuovo geno di morte, dovevano sacrificar le vite loro per salute de' prossimi…"
Nel 1606 a Napoli, per febbri contagiose, troviamo il sacrificio della vita di un giovane di Bucchianico per assistere i malati preso l'Ospedale SS.ma Annunziata: il nipote Onofrio de Lellis, ancora Novizio e portato quale esempio a tutta la Congregazione. E' lo stesso Santo Zio che lo assiste fino alla morte e lo piange fortemente. In questa drammatica occasione sono molti altri a perdere la vita e rientrano in quell'anonimato di cui si è detto. I Cronisti del tempo scrivono che "tanti furono i nostri che morivano, che non venivano più suonate le campane nel momento della sepoltura per non spaventare i vicini".
Il terribile flagello della peste che colpì l'Italia nel 1656, segna il sacrificio di ben 96 Religiosi Camilliani in più Città, come si evince nel quadro che segue. Tra essi il Superiore Generale, il P. Marco Antonio Albiti, e i Superiori Provinciali di Roma P. Luigi Franco, e di Napoli P. Prospero Voltabio. Negli Atti di Consulta del tempo si trova scritto che "le nostre Case quasi desolate per la perdita de loro habitanti Religiosi… si ritrovava afflittissima la nostra Povera Religione priva del Capo ed una gran parte delle sue membra…", ma incrollabile rimase la fede nel "SS.mo Crocifisso che con larghe promesse disse al nostro Benedetto Padre Camillo de Lellis di voler perpetuare il nostro Santo Instituto…"
Le bufere sulla "pianticella" di San Camillo sono passate e l'Ordine Religioso si è fortificato e si è diramato nei 5 Continenti.
Ultimo contributo di sangue per essere accanto al malato sempre anche col rischio della propria vita, lo si ha in Spagna durante la ben nota Guerra Civile degli anni '30 di questo fine millennio: sono 12 i Religiosi Camilliani che "in odium fidei" hanno testimoniato l'amore sempre presente di Cristo per i sofferenti. Ed anche se non sono entrati nell'Albo dei Santi ufficialmente riconosciuti, attendiamo che entrino nel Martirologio del Giubileo, come si fa ben sperare.
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I testi e le informazioni sono tratti dal libro di: Ruffini F., La vita
per Cristo, Edizioni
Camilliane, Torino 1993, pp. 140 >>